Il packaging può concorrere sicuramente in maniera percentualmente importante al successo di un lancio nuovo prodotto ma spesso si tende a focalizzare fortemente sul packaging le sorti commerciali, limitando la visione periferica di tutti gli strumenti e gli interventi necessari alla competitività.
A volte poi il “bruco” è dentro la mela, ovvero si pretende troppo dal packaging che, per onorare gli sforzi progettuali del nuovo prodotto, diventa un colorato ma prolisso elenco didascalico di plus e strilli pubblicitari, rischiando di mettere in secondo piano i valori emozionali decisivi per stimolare il processo di “intention to buy“.
Se poi lo studio del pack è affidato a creativi davvero “molto creativi” si rischia l’ effetto opposto, ovvero il dover usare la lente per decodificare ingredienti, gusti, a volte anche il nome del prodotto stesso per il quale sono stati maldestramente usati font poco leggibili che non reggono ad una prova ottica a scaffale con il consumatore posto a 60 cm.
Il packaging affinchè diventi un efficace venditore silenzioso tendenzialmente deve sedurre, non gridare.
La cattiva notizia è che gli scaffali italiani della GDO sono pieni di packaging strilloni, la buona notizia è che da qualche tempo,utilizzando le tecniche di psicolinguistica applicata al messaggio informativo e pubblicitario, si può monitorare e misurare la dissonanza cognitiva di un packaging ovvero la sua capacità di farsi comprendere, decodificare e apprezzare dal consumatore.
Ricordiamoci che i tempi di reazione e decodificazione davanti allo scaffale, sono velocissimi:
- è l’emisfero emozionale che ha il maggior peso specifico nei confronti del processo di scelta di un prodotto o assaggio di una nuova referenza.
Quanto è assonante o dissonante il packaging rispetto ai valori che s’intende comunicare e come viene realmente percepito dal consumatore in termini di elaborazione immediata cognitiva ?
Parliamone…
Tag: Packaging Alimentare